L’inserimento scolastico delle bambine e dei bambini adottati
Quali sono le specifiche difficoltà di inserimento scolastico dei bambini adottati?
Autore: Dott.ssa Giovanna Teti
Servizio: Consulenza alla genitorialità (prima infanzia, seconda infanzia, figli adolescenti)
Servizio: Consulenza alla genitorialità (prima infanzia, seconda infanzia, figli adolescenti)
L’esperienza di traumi ed eventi di vita stressanti incide sullo sviluppo di alcune prestazioni cognitive, in particolar modo la regolazione dell’attenzione, il mantenimento della concentrazione, la memoria, la capacità di risoluzione dei problemi, l’abilità di elaborare nuove informazioni.
Ma soprattutto il peso delle esperienze traumatiche si manifesta a scuola spesso sotto forma di dissociazione, ossia quella circostanza per cui il bambino o la bambina ci sembra distratto, assorto nei pensieri, non in ascolto con l’ambiente circostante.
Quello è il peso dei pensieri associati a vissuti pesanti da elaborare, che riemergono alla memoria o che hanno lasciato un caos emotivo difficile da gestire nel tempo.
Quelli sono quei classici atteggiamenti che possono far irritare un insegnante inesperto o preso dalla gestione di una classe e che, se ripresi senza la riflessione di una lettura affettiva, possono dar luogo a comportamenti conseguenti dell’alunno/a come irritabilità, rabbia, frustrazione.
È così che il bambino e la bambina vivono una seconda difficoltà, quella legata al farsi capire dall’adulto che, preso dall’incombenza della gestione di un’intera classe, rischia di cadere nel tranello della risoluzione immediata dell’aspetto comportamentale.
Viviamo in un’epoca storica in cui tutto deve essere risolto in pochi passi (10 mosse per risolvere qualcosa, 10 sedute per imparare a gestire qualcos’altro…), ma certi vissuti, certi comportamenti, l’instaurarsi di relazioni significative, di rilievo e durature ha bisogno di tempo per lasciar sedimentare quei semi che daranno vita a legami profondi.
La scuola richiede al bambino e alla bambina adottati una capacità di separarsi dal contesto familiare, con tutta la probabilità di riattivare vissuti difficili da gestire, proprio nel momento in cui lui o lei sta imparando ad affidarsi e sentirsi al sicuro nella nuova famiglia. Oltre a questo, la difficoltà di autoregolazione affettiva gioca un ruolo aggiuntivo nella possibilità di consolarsi e di vivere l’ambiente scolastico come accogliente.
Per tutti questi motivi, le Linee Guida del MIUR per l’inserimento scolastico dei bambini adottati rappresentano uno strumento operativo utile per famiglie e insegnanti.
La possibilità di posticipare l’ingresso a scuola o di permanere un anno in più in una classe o alla Scuola dell’Infanzia permette al bambino e alla bambina di concedersi il giusto tempo per inserirsi nel nuovo ambiente familiare e iniziare a creare un legame sicuro di attaccamento prima di arrivare nel nuovo contesto scolastico, fatto di richieste, sollecitazioni relazionali e competenze emotive e cognitive che richiedono un impegno non da poco.
Solo dopo un primo momento di inserimento in famiglia si possono adeguatamente inserire altre figure significative come le insegnanti e i compagni di classe nella vita del bambino e della bambina e sarà opportuno informare il corpo docente dei suoi bisogni particolari.
Da parte loro, le insegnanti sono chiamate a creare per il nuovo alunno un ambiente accogliente e comprensivo, che rispetti i suoi bisogni relazionali e di apprendimento, primo fra tutti quello legato all’instaurare un legame significativo e, non da ultimo, quello connesso all’apprendimento della nuova lingua, che si configura a tutti gli effetti come una seconda lingua madre, che prenderà via via il posto della lingua originaria per non alimentare una scissione identitaria.
È bene, però, rispettare quella sottile linea tra accoglienza particolare e stigma: la famiglia adottiva non è altro che una famiglia come le altre, che si arricchisce della sua diversità così come le famiglie monogenitoriali, quelle omoparentali, quelle con genitori separati o divorziati, quelle straniere, quelle con figli stranieri di seconda generazione e tante altre.
La narrazione adottiva a scuola si esprime, di fatto, con la narrazione delle diversità, della multiculturalità, dell’inclusione attraverso la lettura delle emozioni, la comunicazione affettiva e l’ascolto empatico dell’altro.
Per favorire un’accoglienza empatica di tutte queste realtà differenti è necessario che la scuola favorisca la costruzione di legami affettivi attraverso la creazione di un contesto sicuro, empatico e comprensivo, che faccia riferimento a una grossa dose di flessibilità relazionale e delle modalità di insegnamento, che promuova il lavoro di gruppo e la rete relazionale (ad esempio con l’apprendimento cooperativo e l’organizzazione di eventi o progetti su inclusione, multiculturalità e diversità), che faciliti l’espressione della propria storia personale.
Questo servirebbe a conoscere l’altro e a prevenire lo stigma, episodi di bullismo e di emarginazione, che altro non sono che l’omologare l’altro a una cosa, a uno strumento, a una massa.
Ma soprattutto il peso delle esperienze traumatiche si manifesta a scuola spesso sotto forma di dissociazione, ossia quella circostanza per cui il bambino o la bambina ci sembra distratto, assorto nei pensieri, non in ascolto con l’ambiente circostante.
Quello è il peso dei pensieri associati a vissuti pesanti da elaborare, che riemergono alla memoria o che hanno lasciato un caos emotivo difficile da gestire nel tempo.
Quelli sono quei classici atteggiamenti che possono far irritare un insegnante inesperto o preso dalla gestione di una classe e che, se ripresi senza la riflessione di una lettura affettiva, possono dar luogo a comportamenti conseguenti dell’alunno/a come irritabilità, rabbia, frustrazione.
È così che il bambino e la bambina vivono una seconda difficoltà, quella legata al farsi capire dall’adulto che, preso dall’incombenza della gestione di un’intera classe, rischia di cadere nel tranello della risoluzione immediata dell’aspetto comportamentale.
Viviamo in un’epoca storica in cui tutto deve essere risolto in pochi passi (10 mosse per risolvere qualcosa, 10 sedute per imparare a gestire qualcos’altro…), ma certi vissuti, certi comportamenti, l’instaurarsi di relazioni significative, di rilievo e durature ha bisogno di tempo per lasciar sedimentare quei semi che daranno vita a legami profondi.
La scuola richiede al bambino e alla bambina adottati una capacità di separarsi dal contesto familiare, con tutta la probabilità di riattivare vissuti difficili da gestire, proprio nel momento in cui lui o lei sta imparando ad affidarsi e sentirsi al sicuro nella nuova famiglia. Oltre a questo, la difficoltà di autoregolazione affettiva gioca un ruolo aggiuntivo nella possibilità di consolarsi e di vivere l’ambiente scolastico come accogliente.
Per tutti questi motivi, le Linee Guida del MIUR per l’inserimento scolastico dei bambini adottati rappresentano uno strumento operativo utile per famiglie e insegnanti.
La possibilità di posticipare l’ingresso a scuola o di permanere un anno in più in una classe o alla Scuola dell’Infanzia permette al bambino e alla bambina di concedersi il giusto tempo per inserirsi nel nuovo ambiente familiare e iniziare a creare un legame sicuro di attaccamento prima di arrivare nel nuovo contesto scolastico, fatto di richieste, sollecitazioni relazionali e competenze emotive e cognitive che richiedono un impegno non da poco.
Solo dopo un primo momento di inserimento in famiglia si possono adeguatamente inserire altre figure significative come le insegnanti e i compagni di classe nella vita del bambino e della bambina e sarà opportuno informare il corpo docente dei suoi bisogni particolari.
Da parte loro, le insegnanti sono chiamate a creare per il nuovo alunno un ambiente accogliente e comprensivo, che rispetti i suoi bisogni relazionali e di apprendimento, primo fra tutti quello legato all’instaurare un legame significativo e, non da ultimo, quello connesso all’apprendimento della nuova lingua, che si configura a tutti gli effetti come una seconda lingua madre, che prenderà via via il posto della lingua originaria per non alimentare una scissione identitaria.
È bene, però, rispettare quella sottile linea tra accoglienza particolare e stigma: la famiglia adottiva non è altro che una famiglia come le altre, che si arricchisce della sua diversità così come le famiglie monogenitoriali, quelle omoparentali, quelle con genitori separati o divorziati, quelle straniere, quelle con figli stranieri di seconda generazione e tante altre.
La narrazione adottiva a scuola si esprime, di fatto, con la narrazione delle diversità, della multiculturalità, dell’inclusione attraverso la lettura delle emozioni, la comunicazione affettiva e l’ascolto empatico dell’altro.
Per favorire un’accoglienza empatica di tutte queste realtà differenti è necessario che la scuola favorisca la costruzione di legami affettivi attraverso la creazione di un contesto sicuro, empatico e comprensivo, che faccia riferimento a una grossa dose di flessibilità relazionale e delle modalità di insegnamento, che promuova il lavoro di gruppo e la rete relazionale (ad esempio con l’apprendimento cooperativo e l’organizzazione di eventi o progetti su inclusione, multiculturalità e diversità), che faciliti l’espressione della propria storia personale.
Questo servirebbe a conoscere l’altro e a prevenire lo stigma, episodi di bullismo e di emarginazione, che altro non sono che l’omologare l’altro a una cosa, a uno strumento, a una massa.